TROPPO NICHEL NEI CIBI, I RISCHI PER CHI SOFFRE DI INTOLLERANZA (E DI CELIACHIA)

Il nichel è un metallo che «dà fastidio» a un numero sempre maggiore di persone: i celiaci, che sono intolleranti al glutine e devono eliminarlo dalla dieta, a causa della diversa composizione della loro alimentazione possono avere un introito di nichel più elevato del normale e ciò può comportare una maggiore probabilità di colon irritabile, con sintomi che portano a credere si tratti di celiachia refrattaria mentre sono «solo» gli effetti di questo metallo sull’intestino. Lo ha suggerito una ricerca dell’università La Sapienza di Roma, secondo cui è importante valutare i contenuti di nichel della dieta dei celiaci e in generale studiare sempre meglio come questo metallo influenzi il benessere.

Intolleranza al nichel

La sindrome sistemica da «allergia» al nichel è infatti un’intolleranza alimentare abbastanza comune, che si verifica in circa il 20 per cento di chi ha dermatite da contatto da nichel. In questa condizione ci sono probabilmente meccanismi immunologici non mediati dalle immunoglobuline E, quelle coinvolte nelle classiche allergie: dopo il consumo di cibi che contengono alte quantità di nichel (come cacao, noci e mandorle, legumi e così via) compaiono sintomi gastrointestinali come diarrea, meteorismo e coliche, associati a sintomi cutanei come eczema e orticaria. La diagnosi si fa provando diete povere di nichel e valutando la ricomparsa dei sintomi alla reintroduzione del metallo sotto forma di compresse con dosi variabili; esiste anche un trattamento desensibilizzante possibile per chi ha avuto una diagnosi precisa.

Come diagnosticare le intolleranze

Quella al nichel è solo la più comune di tante altre intolleranze, diverse da quella al lattosio e dalla celiachia per cui esistono test diagnostici specifici. La diagnosi di queste intolleranze per cui non ci sono esami clinici validati si esegue di solito per esclusione, per questo quando si hanno sintomi compatibili con un’intolleranza occorre rivolgersi a un medico specializzato, per esempio un allergologo o un gastroenterologo. È necessario tenere un diario alimentare dettagliato, in cui inserire tutto ciò che si mangia e gli eventuali sintomi, segnando anche dopo quanto tempo emergono.

Già questo può aiutare a individuare un alimento sospetto, che poi andrà eliminato dalla dieta per due, tre settimane e quindi reintrodotto (la cosiddetta dieta di esclusione e provocazione): se i sintomi prima scompaiono e poi tornano, è possibile ci sia un’intolleranza alimentare a quel cibo. Il percorso, che di solito prevede anche di sottoporsi a test allergici per verificare che la causa non sia una vera allergia alimentare, deve essere sempre compiuto con un medico, senza affidarsi ai molti test per le intolleranze che non hanno validità clinica né dimostrazioni scientifiche della loro attendibilità.

I pericoli delle auto-diagnosi

Secondo le stime a fronte di due milioni di veri allergici e altri dieci milioni di intolleranti al lattosio, al glutine, al nichel o altre sostanze ci sono almeno otto milioni di allergici e intolleranti «immaginari», convinti di non tollerare il pomodoro o il lievito, il latte o il grano ma che in realtà potrebbero mangiare di tutto senza alcun problema reale. Tutto questo non è senza rischi, specialmente nei più piccoli: nei bambini i disturbi dovuti a un’alimentazione scorretta basata su supposte intolleranze sono peggiori dei sintomi che si cercano di alleviare con la dieta di esclusione e il rischio nutrizionale è elevato, perché eliminando cibi o addirittura intere categorie di alimenti è possibile andare incontro a deficit di nutrienti essenziali con ripercussioni sull’accrescimento e lo sviluppo.

Anche gli adulti tuttavia rischiano: eliminare alcuni cibi senza che ve ne sia davvero motivo porta a squilibri della microflora intestinale che si possono poi pagare cari in futuro, visto che le alterazioni del microbiota sono connesse a innumerevoli patologie come obesità, diabete, malattie autoimmuni. Spesso inoltre con gli esami per le intolleranze non validati emerge una seria lunghissima di positività e ai pazienti viene raccomandato di eliminare una nutrita schiera di cibi, partendo da quelli che più spesso provocano fastidi gastrointestinali senza che necessariamente inducano vere allergie: chiunque riduca il consumo di cibo in un primo momento ha una sensazione di benessere e ciò può convincere alcuni di essere allergici o intolleranti quando non è vero. Il risultato è che togliendo dalla dieta prodotti importanti, come i latticini o le carni, ci si espone a un maggior rischio di carenze di minerali essenziali come il calcio o il ferro.

2023-06-03T05:26:49Z dg43tfdfdgfd