PARLIAMO DI INTELLIGENZA FLUIDA GENERALE

Seguire un'alimentazione sana ed equilibrata e fare regolarmente attività fisica e mentale - in primis leggere, scrivere, fare le parole crociate e giocare a scacchi - sono ottimi alleati per migliorare la memoria. Esistono (altre) numerose strategie che contribuiscono nel corso della vita a rafforzare la riserva cognitiva e parallelamente ad abbassare il rischio di sviluppare demenza. In occasione della Settimana del Cervello (11-17 marzo) abbiamo incontrato Sara Bottiroli, Professore Associato in Psicologia generale all’Università degli Studi di Pavia e responsabile della sezione di ricerca in Psicologia Cognitiva presso l’IRCCS Fondazione Mondino e Sara Bernini, ricercatrice dell’IRCCS Fondazione Mondino, entrambe psicologhe presso della Fondazione Mondino IRCC, per avere consigli pratici e preziosissimi per preservare la nostra salute cerebrale e tenere il nostro cervello attivo e allenato perché, sì, questo organo è molto simile a un muscolo!

Quali sono state le scoperte o i dati più eclatanti emersi dal vostro recente studio pubblicato su Nature?

In questo nostro recente studio abbiamo dimostrato che la riabilitazione cognitiva computerizzata può rappresentare una modalità di intervento efficace anche nelle persone con iniziale deterioramento cognitivo. In aggiunta, i risultati, monitorati nel tempo fino a un anno dalla fine del trattamento di riabilitazione, hanno evidenziato progressi incoraggianti nel rallentare l'evolversi della sintomatologia dementigena, soprattutto tra coloro che avevano avuto uno stile di vita cognitivamente attivo nel corso degli anni. Questi risultati sono notevolmente interessanti poiché evidenziano due importanti risvolti: il primo è che le metodiche di riabilitazione cognitiva al computer possono essere utilizzate con successo anche nelle fasi iniziali della demenza, mentre il secondo che l’essersi mantenuti cognitivamente attivi nell’arco di vita e continuare a farlo anche quando la patologia inizia a manifestarsi contribuisce a resistere più a lungo agli effetti della stessa.

Cosa fare e cosa non fare per preservare la salute cerebrale.

La ricerca scientifica attuale è unanime nel riconoscere l'importanza dello stile di vita nel prevenire il declino cognitivo e favorire un invecchiamento sano. Sono stati individuati fattori di rischio e protettivi modificabili che, se gestiti correttamente, potrebbero ridurre fino al 40% il rischio di demenza. Le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sollecitano i governi e le politiche sociali ad adottare strategie che promuovano specifici fattori protettivi, come un'alimentazione equilibrata, l'esercizio fisico regolare, un'attività mentale stimolante e una forte rete sociale. Questi fattori, combinati insieme, contribuiscono nel corso della vita a rafforzare la riserva cognitiva, un concetto proposto per spiegare la differenza tra il grado di danno cerebrale e il livello di funzionamento cognitivo. Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che una maggiore riserva cognitiva è associata a un minor rischio di sviluppare demenza. Di conseguenza, è importante evitare comportamenti che aumentano i fattori di rischio, come il fumo, l'abuso di alcol, l'isolamento sociale e la sedentarietà.

In che modo l'attività fisica regolare e il buon sonno aiutano la memoria?

L'impatto dell'attività fisica sul cervello è complesso e coinvolge diversi fattori. Essa può aumentare la capacità di rigenerazione dei neuroni, ridurre l'infiammazione e migliorare la comunicazione neuronale. Studi condotti su anziani hanno dimostrato che l'attività fisica regolare può ridurre il rischio di sviluppare l'Alzheimer. Ulteriori indagini hanno confermato che gli individui che partecipano a più attività aerobica mostrano un volume dell'ippocampo, una regione cerebrale cruciale per l'apprendimento e la memoria, maggiore rispetto a quelli sedentari della stessa età. In particolare, tali effetti benefici sono legati alla corsa, e in generale a tutte le attività aerobiche come il nuoto o il ciclismo, che sono in grado di stimolare la circolazione del sangue in tutto il nostro corpo, compreso il cervello, favorendo la formazione di nuovi neuroni. Certamente non basta solo l’attività fisica, ma il fatto di condurre una vita sana e interattiva che stimoli in continuazione la nostra mente può essere una preziosa soluzione per migliorare le nostre capacità di memoria. Inoltre, l’esercizio aiuta i pazienti la cui attività cerebrale ha già iniziato a vacillare: favorisce progressi nell’apprendimento, nell’attenzione e nella memoria nelle persone affette da Alzheimer nelle fasi iniziali. La qualità del sonno è un altro aspetto cruciale per la salute e il benessere complessivo. Durante il sonno, il corpo si rigenera e si riposa, preparandosi per affrontare le sfide della giornata successiva. Il sonno influisce in modo significativo sulla salute fisica e mentale, regolando le funzioni metaboliche, e rafforzando il sistema immunitario. In aggiunta, un sonno adeguato migliora la memoria e facilita il processo di apprendimento, consentendo un miglior consolidamento della memoria a lungo termine. Al contrario, una mancanza di sonno o un sonno di scarsa qualità possono avere conseguenze negative sulla salute generale, aumentando il rischio di malattie croniche, disturbi dell'umore e problemi di memoria e concentrazione. Pertanto, è essenziale impegnarsi per dormire bene mettendo in atto una serie di pratiche e abitudini che favoriscano un sonno sano e di qualità.

Quali sono gli esercizi più efficaci per stimolare il cervello?

Nonostante spesso si pensi che il decadimento cognitivo sia inevitabile, è stato ampiamente dimostrato come la mente mantenga nel tempo la capacità di modificarsi. Questo meccanismo prende il nome di plasticità cognitiva, è presente a tutte le età e riguarda il fatto che le risorse cognitive possono essere attivate attraverso procedure specifiche, come per esempio i brain training, per migliorare le prestazioni in diversi compiti. Tali attività sono utili al fine di costruire delle “impalcature” per far fronte ai cambiamenti legati all’età e per sviluppare nuove strutture cerebrali come la creazione di nuovi circuiti neuronali. È proprio sulla base della presenza della plasticità, che nel corso degli ultimi decenni si è assistito al proliferare di brain training volti al potenziamento delle abilità cognitive. Si tratta di giochi mnesici, calcoli matematici, esercizi linguistici che sono in grado di stimolare l’“intelligenza fluida generale", cioè la capacità di creare relazioni tra fatti e oggetti, fare ragionamenti complessi e risolvere nuovi problemi.

In cosa consistono i programmi di riabilitazione cognitiva e a chi sono rivolti?

La riabilitazione cognitiva è un approccio di intervento non farmacologico che nasce a metà del secolo scorso per fare fronte a danni cognitivi e comportamentali conseguenti a una lesione cerebrale acquisita. Tale approccio di intervento si avvale delle capacità neuroplastiche del nostro cervello con l’obiettivo di innescare e guidare dei processi di recupero e/o compensazione delle abilità cognitive e comportamentali compromesse, mirando al raggiungimento del massimo grado possibile di autonomia e di indipendenza della persona colpita dall’evento patologico. Per anni, nell’ambito delle demenze è prevalso un approccio nichilistico secondo cui la riabilitazione cognitiva era esclusa a priori poiché le demenze, in quanto patologie neurodegenerative, erano considerate avere un andamento peggiorativo e non suscettibile di modificazioni. Più recentemente, gli studi sul ruolo dei fattori di rischio modificabili nell’arco di vita, sul concetto di riserva cognitiva e sulla presenza di plasticità cerebrale anche in età avanzata hanno permesso di smentire questa posizione mettendo in atto un cambio di mentalità nella possibilità non solo di trattare il decadimento cognitivo, ma anche di prevenirlo. Pertanto, oggi quando si parla di “riabilitazione cognitiva” si può fare riferimento a un ampio spettro di modelli teorici e tecniche di intervento calibrate in base alla fase evolutiva della malattia. Tali interventi prevedono l’utilizzo di differenti metodologie, dai più tradizionali esercizi vocali o carta-penna, fino a al ricorso della tecnologie attraverso programmi computerizzati o la realtà virtuale.

Quando non ci viene in mente una parola cosa dovremmo fare? Insistere per ritrovarla nella nostra memoria, non pensarci magari ci verrà in mente più tardi o cercarla in rete?

A tutti sarà sicuramente capitato di avere la certezza di conoscere il nome di una persona o di un oggetto, ma allo stesso tempo di non riuscire a ricordarlo. L’informazione che si sta cercando di recuperare è stata codificata in maniera corretta, ma al momento non è a noi accessibile. Solitamente durante lo sforzo per accedere alla parola, si riescono a produrre delle informazioni di tipo fonologico, per esempio ricordate che il cognome del vostro ex compagno di scuola (Gazzi) inizia per G, oppure semantico, vi ricordate che ha il significato di un animale. Noi ricercatori sappiamo che la certezza soggettiva di possedere l’informazione, ma di non riuscire a recuperarla prende il nome di fenomeno “sulla punta della lingua” o Tip-of-the-tongue. Generalmente circa la metà delle informazioni sulla punta della lingua tornano in mente entro un minuto o poco più, le altre vengono ricordate successivamente, a volte anche dopo giorni. La tecnica migliore è quella di cercare di ottenere la risposta il più velocemente possibile, magari ricorrendo all’aiuto di qualcuno. Se questo non si dovesse verificare allora è più conveniente smettere di pensarci piuttosto che continuare nel tentativo di recuperarla. Sicuramente qualche aiuto arriverà e improvvisamente la parola vi verrà in mente. È stato infatti dimostrato che quanto più a lungo si cerca di recuperare la parola che avvertiamo sulla punta della lingua, tanto più probabile sarà che questa ci sfugga nuovamente in futuro. Questo perché il continuare nello sforzo di recuperare l’informazione senza che questa affiori determina una sorta di “apprendimento a sbagliare”, ossia si rinforza un meccanismo erroneo di recupero.

Leggere, scrivere, fare giochi enigmistici e giocare a scacchi. Quale di queste attività è più efficace per allenare la memoria e in quale modalità/frequenza?

La memoria, come tutte le altre funzioni cognitive, risente dell’esercizio. Se è vero che nel corso degli anni essa tende a fallire più frequentemente rispetto al passato, è vero anche che mantenerla attiva garantisce un buon livello di funzionalità. Il cervello, in fondo, è molto simile a un muscolo: per non indebolirlo e mantenerlo giovane bisogna allenarlo. Esercitare il cervello consente di migliorare le sue prestazioni. I medici consigliano di tenere in efficienza il fisico facendo regolare attività fisica. Gli psicologi consigliano di mantenere in allenamento anche la memoria. Anche le attività ricreative, come per esempio leggere, scrivere, giocare a scacchi o a dama o fare giochi di enigmistica, come sudoku, anagrammi, rebus o parole crociate, possono avere utili benefici sulla memoria. Tutte queste sono semplici occasioni della vita di tutti i giorni che si possono fare senza alcuno sforzo, anzi, proprio come dei passatempi, che aiutano a stimolare il cervello e la logica, con effetti positivi sulla memoria. Il consiglio che vi diamo è quello di non concentrarvi solo su una di queste attività, ma di cercare di alternarle, al fine di ottenere gli effetti benefici derivanti da ciascuna di queste. Anche gli hobby possono aiutare a mantenere attiva la memoria, come il giardinaggio, il bricolage oppure seguire dei corsi, come quelli proposti dalle Università della Terza Età. L’importante è mantenersi attivi mentalmente!

La meditazione può essere di aiuto? E fare ordine?

In oltre 25 secoli la meditazione è stata largamente adattata ai numerosi contesti in cui è stata impiegata, tanto antichi quanto moderni. In particolare, negli ultimi decenni la mindfulness, una tecnica di meditazione basata sulla pratica della consapevolezza, è stata largamente impiegata come approccio nel contesto della psicologia e della medicina e in numerosi ambiti che spaziano dalla cura del dolore cronico, dell'ansia, della depressione, in una società di individui sempre più appesantiti dalla frenesia e dall'incertezza. Depressione, ansia e sonno disturbato sono solo alcuni dei sintomi di una salute mentale non ottimale e possono essere a loro volta responsabili di un calo delle performance nelle attività della vita quotidiana in termini di smemoratezza più frequente, cali di concentrazione, scarsa motivazione. Per queste ragioni, la meditazione, come occasione per entrate in più profondo contatto con le proprie emozioni e con il proprio corpo nel momento presente, può rappresentare una pratica utile da inserire nella propria routine. Ciascuno di noi, in base alla conoscenza che ha di se stesso, può scegliere l’attività che più lo aiuta a diminuire le fonti di stress, ad aumentare la consapevolezza di se stessi, creare un ambiente più propizio per la concentrazione, ridurre le distrazioni e facilitare il recupero delle informazioni memorizzate.

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