«CERVELLO INTESTINALE»: COME SI USA IL MICROBIOTA NEL TRATTAMENTO DELLE MALATTIE DEGENERATIVE

Nessuno è mai solo anche nella più sperduta baita di montagna. Non ci si pensa mai, ma dalla nascita siamo sempre in compagnia di un super-organismo simbiotico in parte ereditato da nostra madre e in parte acquisito negli anni dall’ambiente. Pesa quanto il nostro cervello e comunica continuamente con lui formando il cosiddetto asse intestino-cervello, un vero e proprio connettoma entero-cerebrale chiamato «cervello intestinale» composto dalle popolazioni microbiche che vivono nell’intestino e che esercita un continuo controllo su funzioni e disfunzioni cerebrali.

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Pre, pro-biotici e trapianto

Questa connessione promette di diventare un prezioso bersaglio terapeutico per varie malattie neuro-psichiche come ad esempio quella di Parkinson o la depressione perché agendo sul microbiota intestinale con pre- e pro-biotici è possibile migliorarle. Da una decina d’anni un altro trattamento si è dimostrato risolutivo per gravi disbiosi intestinali come l’infezione da Clostridium difficilis dove non c’era antibiotico o dieta che funzionassero: si tratta del trapianto di da soggetti sani che ripopola efficacemente la flora intestinale dei pazienti con antibiotico-resistenza che nei casi più gravi, soprattutto se anziani ospedalizzati, rischiavano addirittura il decesso per gravissime coliti e diarree devastanti e incurabili.

Arma a doppio taglio

E se il ripristino delle disbiosi va a vantaggio anche delle condizioni che stanno all’altro capo dell’asse intestino-cervello, può accadere anche il contrario e ciò conferma ulteriormente questa relazione bidirezionale. Uno studio appena pubblicato su Brain da un gruppo di ricercatori italiani, irlandesi e inglesi diretti da Yvonne Nolan dell’Università di Cork ha dimostrato che trapiantando il microbiota di soggetti con malattia di Alzheimer in soggetti sani anche questi si ammalano, mentre usando microbiota proveniente da soggetti sani di pari età ciò non avviene. Ovviamente il trapianto del microbiota dei 69 pazienti Alzheimer dell’ IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia usati per lo studio non è stata fatto su altri uomini, ma su topi, perché, anche se non c’è ancora la prova di un effetto opposto di trasmissione della malattia, era meglio non rischiare d’indurla in chi stava bene.

Molta strada da fare

«Visti i risultati è stato meglio così perché l’ippocampo dei topi, precedentemente sani, è andato incontro a disturbi della neurogenesi cioè della plasticità neuronale, con conseguenti alterazioni della memoria e del comportamento sovrapponibili a quelle dei pazienti da cui proveniva il campione fecale – dice il professor Alessandro Padovani dell’Università di Brescia e presidente della Società Italiana di Neurologia —. A cambiare non è stato solo il loro microbioma, ma anche il metaboloma, sia intestinale che cerebrale». Con metaboloma s’intende l’insieme dei metaboliti, cioè le sostanze implicate nei processi metabolici cellulari come gli ormoni, i neurotrasmettitori ecc.

Cefalee, depressione e psicosi

Il microbioma è un ecosistema complesso e dinamico e la comprensione del suo ruolo nella malattia dell’ospite e del suo potenziale per il trattamento dei vari disturbi associati alle sue alterazioni richiederà ulteriori studi. I dati finora raccolti sono comunque già molti: nelle cefalee ad esempio si osserva un eccesso di batteri Caenorhabditis elegans, nella depressione abbondano Eggerthella, Atopobium e Bifidobacterium un po’ meno i Faecalibacterium, nella psicosi e nel Saccharomyces cerevisiae e Candida albicans. Il sonno peggiora se nel microbiota calano i bifidobatteri, ma secondo uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Neurology dall’Università del Missouri riequilibrando la flora intestinale è possibile migliorare anche l’apnea morfeica, altro disturbo del sonno con microbiota alterato.

Due anni fa la Colorado University ha indicato su Frontiers of Behavioural Neurosciences che il probiotico Lattobacillo rhamnosus può migliorare il sonno REM quello dei sogni, grazie a un’aumentata produzione di acidi grassi a catena corta come l’acido butirrico efficace sui geni preposti al controllo dei ritmi sonno-veglia.

Microbiota e malattia di Parkinson

Le correlazioni fra microbiota e malattia di Parkinson sono state fra le prime a essere studiate: già nel 2004 Heiko Braak della Goethe University di Francoforte indicava che questa malattia è a partenza soprattutto intestinale dove si verifica la formazione di alfa-sinucleina, la proteina alterata marker della malattia che, propagandosi dall’intestino al cervello lungo il nervo vago, converte con effetto domino le altre proteine normali in micro ammassi tossici. La formazione di alfa-sinucleina nel microbiota sarebbe favorita dalla carenza di lactobacilli e in particolare nei parkinsoniani appaiono ridotti i batteri Faecalibacterium, Roseburia e Prevotella, mentre Bifidobacterium e Lactobacillus risultano aumentati, anche se alcuni pensano che queste alterazioni siano in parte riconducibili alle terapie croniche di questi pazienti.

Nella malattia di Alzheimer

Nella malattia di Alzheimer abbondano soprattutto i Phylum Bacteroidetes e in minor misura i Phylum Firmicutes e i Verrucomicrobiota. L’ultimo studio di Brain da cui siamo partiti ha evidenziato un significativo aumento di Desulfovibrio e una significativa riduzione di Clostridium e di Coprococchi produttori di acidi grassi a catena corta, notoriamente associati all’invecchiamento sano. Per inciso i ricercatori non hanno rilevato significative differenze di genere nel microbiota di pazienti Alzheimer maschi e femmine.

Un po’ di storia

I National Institutes of Health (NIH USA) avevano già capito da tempo la portata delle connessioni intestino-cervello, tant’è che dal 2007 al 2016 hanno attivato il Progetto Microbioma Umano (HMP, acronimo di human microbiome project) da cui sono nati molti studi come questo che dimostrano sempre più come alterate composizioni del microbiota intestinale si correlino a molteplici malattie. Per inciso, il microbiota intestinale è la componente maggiore del microbioma che li comprende tutti: microbiota cutaneo, del cuoio capelluto, vaginale, uterino, ecc. ecc. A quasi vent’anni dal lancio del progetto HMP si sta ora cercando di sfruttare le potenzialità del microbioma guardando alla manipolazione delle sue popolazioni microbiche come nuova modalità terapeutica sempre più accessibile con lo sviluppo di terapie di precisione che sfruttano i processi microbici intestinali.

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