L’ictus ischemico cerebrale può capitare a chiunque, all’improvviso, e anche in buono stato di salute. Facendo registrare ogni anno oltre 90 mila eventi, in ltalia è la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e la prima di invalidità.
Nella maggior parte dei casi l’ictus si verifica quando un’arteria cerebrale si occlude determinando una brusca interruzione all’apporto di sangue alla zona colpita dell’encefalo. Tra i principali sintomi da non sottovalutare mai ricordiamo: il deficit di forza o di sensibilità in un lato del corpo o del viso, le alterazioni del campo visivo, l’afasia ovvero la difficoltà a parlare correttamente e a comprendere il linguaggio, lo stato confusionale.
In occasione della Giornata Mondiale dello Stroke abbiamo chiesto cosa succede al paziente colpito da ictus alla Dottoressa Sandra Bracco, Direttrice dell’UOC di Neuroradiologia Diagnostica e Terapeutica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese e Coordinatrice nazionale della Sezione Interventistica della AINR – Associazione Italiana di Neuroradiologia, e al Dottor Andrea Zini, Direttore UOC Neurologia e Rete Stroke metropolitana - IRCCS Istituto delle scienze neurologiche AUSL di Bologna.
Innanzitutto, è bene ricordare, sia ai pazienti autonomi affetti da sintomi lievi che agli accompagnatori dei casi più gravi, di non prendere iniziative personali ma di chiamare immediatamente il 118: in base ai sintomi registrati la rete stroke di emergenza-urgenza territoriale apre una fase di pre-notifica, essenziale sia per candidare i pazienti più adatti a trattamenti di trombolisi o endovascolari che per preparare adeguatamente il centro alla ricezione. Si stanno sperimentando anche chiamate in video-call, per riconoscere direttamente e più efficacemente i sintomi di un sospetto ictus.
Il trattamento di un paziente affetto da ischemia cerebrale acuta è tempo-dipendente: quanto più velocemente si riesce a trattarlo, contraendo al massimo il tempo (time) che va dalla comparsa dei sintomi (onset) all’ingresso in ospedale (to door), alla terapia trombolitica (to needle) e all’intervento endovascolare (to groin) di ricanalizzazione meccanica dell’arteria cerebrale ostruita (to reperfusion), tanto maggiori probabilità si hanno di salvarlo da deficit neurologici. Spesso si sente infatti parlare del concetto di Time is Brain: ogni minuto perso dopo che un vaso cerebrale si è occluso determina la perdita di quasi due milioni di cellule nervose. Per questo motivo il paziente, una volta accettato in pronto soccorso, viene immediatamente sottoposto ad una valutazione diagnostica di Neuroimaging per escludere un’emorragia e determinare la sede dell’occlusione vascolare. Con il Neuroimaging avanzato è possibile, inoltre, mappare tutta l’area di cervello in deficit di perfusione (Perfusion Imaging) differenziando al suo interno (Mismatch) l’area compromessa in modo irreversibile (Core ischemico) da quella compromessa ma ancora salvabile (Penombra ischemica). Quanto l’area di penombra è più ampia dei tessuti compromessi, tanto più il paziente è trattabile. Per gli ictus ischemici il tempo medio di door-to-groin, ovvero dall’ingresso nell’Ospedale al trattamento endovascolare di disostruzione meccanica delle occlusioni, dovrebbe essere al di sotto di 90 minuti. Tuttavia, è bene ricordare che la finestra temporale può variare da paziente a paziente: il tempo che intercorre dall’evento al momento in cui i circoli collaterali smettono di prendere in carico l’area cerebrale in stand-by che non funziona ma può ancora essere salvata può differire anche di molto da caso a caso. Per questo si parla sempre di più del concetto di Physiology is Brain.
Al Dottor Zini abbiamo anche chiesto come fare prevenzione. Innanzitutto, è fondamentale giocare d’anticipo e, da un lato, prendersi cura di sé grazie ad una regolare attività fisica e una dieta povera di zuccheri e grassi saturi. In secondo luogo, è bene monitorare e documentare alterazioni nei fattori di rischio legati all’avanzamento dell’età o a squilibri ormonali, vascolari e metabolici: ipertensione, diabete, colesterolo e valori glicemici alti sono solo alcuni dei fattori da tenere in considerazione. Prestare attenzione ai segnali che il nostro corpo ci lancia, come piccole aritmie o palpitazioni, è fondamentale per agire tempestivamente ma senza lasciarsi prendere dal panico o dalla smania di eseguire esami tanto regolari quanto inutili se non in presenza di reali fattori di rischio. Per i pazienti in ripresa, ma a rischio recidiva, è fondamentale conoscere la causa dell’evento scatenante. Nel 15% dei casi si tratta di episodi di origine aterosclerotica ai vasi del collo o della testa; nel 25% dei casi sono i piccoli vasi a scatenare ictus lacunari mentre al 50% è l’ictus cardioembolico, quando cioè il quando il trombo occludente proviene dalle cavità cardiache, a colpire.
Il progresso tecnologico nel settore dell’imaging diagnostico e la possibilità di raccogliere informazioni preziose anche in maniera poco invasiva, come con gli ultrasuoni, permette a neurologi e neuroradiologi di mettere in pratica una medicina di precisione sempre più personalizzata e spinta. Anche un approccio sempre più multidisciplinare, che vede impegnati neurologi, interventisti, radiologi, infermieri, fino a logopedisti e fisioterapisti, può dare risultati sempre più soddisfacenti, sia in fase di diagnosi che trattamento e follow-up.
È fondamentale, aggiungo, che si continui ad investire nella formazione e preparazione di medici e infermieri specializzati tanto quanto nella creazione di Stroke Unit su tutto il territorio nazionale. Secondo le linee guida del Ministero della Salute, ci dovrebbero essere almeno 300 Stroke Unit sul territorio, almeno uno ogni 200mila abitanti ma al momento ne abbiamo 249 (60 hub centrali e 189 spoke periferici).
2023-11-17T13:33:45Z dg43tfdfdgfd