La dieta carnivora, come è facile intuire dal suo nome, prevede il consumo esclusivo di alimenti di origine animale:
carni rosse e bianche,
frattaglie,
pesce,
grassi animali come burro e lardo,
formaggi stagionati.
Sono completamente esclusi:
verdure,
cereali,
legumi,
frutta,
perfino l’olio extravergine di oliva.
Un regime estremo che elimina interi gruppi alimentari e che, proprio per questo, può dare risultati rapidi sulla bilancia: calo di peso, sgonfiore addominale e una sensazione generale di “reset metabolico”. Ma è solo un’illusione.
Numerosi studi scientifici dimostrano che un consumo elevato di grassi saturi – abbondanti nella carne rossa e lavorata – alza il colesterolo LDL (“cattivo”) e aumenta il rischio di infarto e ictus.
Uno studio pubblicato su JAMA Internal Medicine (2024), condotto su oltre 400.000 adulti per 24 anni, ha evidenziato che sostituire il 5% dei grassi animali con grassi vegetali può ridurre la mortalità cardiovascolare fino al 30%.
Secondo uno studio su JACC Advances (2024), diete low-carb ad alto contenuto di grassi (come la carnivora) sono associate a un rischio quasi doppio di eventi cardiovascolari maggiori rispetto a una dieta bilanciata.
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) classifica le carni lavorate come cancerogene e le carni rosse come “probabilmente cancerogene”.
Bastano 50 grammi al giorno di salumi per aumentare del 18% il rischio di tumore al colon-retto.
Lo studio EPIC-InterAct ha collegato l’elevato consumo di carne rossa a un rischio maggiore del 22% di diabete di tipo 2.
Uno dei problemi più gravi della dieta carnivora è l’assenza quasi totale di fibre alimentari, fondamentali per la salute intestinale.
Il microbiota intestinale si nutre di fibre fermentabili presenti in verdure, frutta, legumi e cereali integrali.
Quando queste fibre vengono a mancare:
si riducono i batteri buoni che producono acidi grassi a corta catena (come il butirrato),
aumentano i batteri pro-infiammatori,
si sviluppa disbiosi intestinale, con conseguente aumento di infiammazione sistemica e problemi metabolici.
Uno studio pubblicato su Gut (2022) ha dimostrato che bastano 4 settimane di dieta iperproteica per ridurre del 30% la biodiversità del microbiota e abbattere del 40% i livelli di butirrato, un vero “oro metabolico” per l’intestino.
Chi segue la dieta carnivora può registrare, almeno inizialmente:
calo dei trigliceridi,
abbassamento della glicemia,
perdita di peso.
Ma si tratta spesso di perdita di acqua, non di grasso corporeo. La drastica riduzione dei carboidrati svuota le riserve di glicogeno e causa una perdita di liquidi.
Nel medio-lungo termine, i parametri peggiorano. Ad esempio:
Uno studio canadese su Nature Cardiovascular Research ha osservato che le diete chetogeniche favoriscono la formazione di placche aterosclerotiche.
Un follow-up su 200 persone che seguivano la dieta carnivora ha mostrato livelli di colesterolo LDL superiori a 190 mg/dl nel 90% dei partecipanti dopo sei mesi.
Il nostro corpo può compensare gli squilibri per settimane o mesi. Tuttavia:
le placche aterosclerotiche possono impiegare anni per ostruire le arterie,
le mutazioni cellulari responsabili di un tumore si sviluppano lentamente,
l’infiammazione cronica non dà sintomi immediati, ma logora l’organismo nel tempo.
Ignorare questi processi perché gli esami “sono nella norma” dopo pochi mesi è un errore potenzialmente grave.
Oltre ai rischi per la salute, la dieta carnivora ha un impatto ambientale elevatissimo.
Un chilo di carne bovina richiede circa 15.000 litri d’acqua e genera 60 kg di CO₂ equivalenti.
Un chilo di legumi ne emette dieci volte meno.
La FAO stima che l’allevamento produca il 14,5% delle emissioni globali di gas serra.
Anche sul piano economico, il costo di una dieta a base di carne può essere il doppio rispetto a un’alimentazione vegetale ben bilanciata.
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L'articolo Solo carne nel piatto? I veri rischi della dieta carnivora proviene da OK Salute e Benessere.
2025-05-23T10:16:25Z